L’OLTRE DEL CINEMA
ANTOPOESIA
IDENTIFICAZIONE DELL’EROS NEL CINEMA DI ANTONIONI
Maria Grazia Calandrone
all’inizio
c’è Il grido,
il corpo sopraffatto dell’amante abbandonato che subisce lo spettacolo
lancinante della felicità di chi gli ha procurato tutto il male.
che cosa pensa chi si dà la morte? che rivela il suo fare giustizia di sé? questa creatura in
esilio, esiliata dal suo stesso desiderio, si esilia dal corpo che è il
contenitore del desiderio
e insieme punisce chi lo ha abbandonato. lui la punisce irreparabilmente, con una morte massiccia e scomposta. il suo determinato corpo in abbandono, la toccante maceria
di eros, ci dice:
io sono qui, caduto davanti a una pietà tardiva e
ridimensionata dalla sommossa
dei contadini – gente bella che corre
sullo sfondo, gente che crede alla giustizia degli uomini. io
non credo più alla Giustizia: ho visto coi miei occhi che chi
abbandona può essere felice. ho visto coi miei occhi
il suo sorriso, la sua gioia, tagliente come un Trionfo di satana. così
mi sono giustiziato.
ho visto l’innocenza di mia figlia trasportare pietre, la
sua gioia naturale
compromessa dal peso della carne del padre. ricordo me come non fossi io. ricordo
quelle gambette in corsa nella neve fresca, ricordo
l’irreparabile catena delle conseguenze. il male figlia il male. io sono il corpo offerto in
sacrificio
all’ingiustizia dell’amore. l’amore è
solo uno fra i molti altari eretici della terra.
io credevo che niente finisse, credevo
che il nostro corpo bifronte avrebbe trionfato
come una dispensa di infinito e che niente di noi
sarebbe andato perduto
ora che io non posso più aspettarti, muoio – oppure
la rabbia finisce per disperdere le comuni stoffe e gli
alimenti come le costellazioni domestiche di Zabriskie Point, con la forza di proiezione del fuoco: la cosa
perde la sua riconoscibilità, i lineamenti quotidiani.
ma nell’occhio terribilmente aperto di Antonioni anche
durante la frana delle promesse eterne splende il diamante perfetto e
autosufficiente dell’immagine
e, insieme a questo insostenuto dolore umano, ovunque in questo cinema c’è una terra che canta. una seconda terra, una seconda voce: prima, siamo davanti a
uno scenario che vuole sembrarci fantascientifico – all’inizio artefatto
e diluito di Deserto rosso –
allo sconcerto di un essere umano di fronte al degrado. l’Antonioni
della trilogia della malattia dei
sentimenti proietta nel suo primo paesaggio a colori il disorientamento
dell’anima, lo fa colare tra la materia grigia dei quartieri industriali, dove
il fumo diventa rappresentazione della foschia interiore.
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