DUE PUNTI SUL NEO-NOIR: GRAY E NOLAN
di Mario Pezzella e Katia Rossi
I
contributi raccolti in questo dossier sono il frutto di un lavoro collettivo,
che si è svolto nel seminario di «Cinema e filosofia» della Scuola Normale
Superiore di Pisa, coordinato da Mario Pezzella nell'anno accademico 2009-2010.
L'attenzione dei partecipanti si è soffermata quest'anno su due autori quasi
emergenti: il regista e sceneggiatore statunitense James Gray (New York, 1969)
e il regista, sceneggiatore e produttore, britannico Christopher Jonathan James
Nolan (Londra, 1970). Due filmmakers che ci sono sembrati essenziali
per cercare di definire oggi il cinema neo-noir, ovvero un cinema in cui le
tradizioni del noir classico – dagli scenari metropolitani ai
protagonisti sbandati, dalla femme fatale alla violenza criminale –
sono aggiornati e rivoluzionati in chiave iper o postmoderna. Il neo-noir
utilizza però spesso soltanto la struttura narrativa codificata del genere
noir, per inserirvi temi e figure che originariamente non gli appartengono
quali il rapporto padre-figlio e la violenza suscitata dall’immigrazione (James
Gray), o la rivalità mimetica e lo sgretolamento dell’identità (Christopher
Nolan).
Nel 1994
Gray ha vinto il leone d'argento a Venezia a soli 25 anni con Little Odessa, lasciandoci entrare nel cuore
del quartiere russo di Brooklyn. Un po' la New York della sua infanzia, certo,
ma anche un territorio conquistato al cinema (come Scorsese aveva fatto con la
Little Italy di Mean Streets nel 1973): uno scenario perfetto per affrontare i temi
venati di tragico amati dal regista, legati al familismo, all'appartenenza
etnica e alla violenza (dentro e fuori le mura domestiche). Con The Yards (2000), il suo secondo film,
fortemente ispirato al Coppola del Padrino (ma annunciato come un incrocio tra La Bête
humaine di Renoir
e Rocco e i suoi fratelli di Visconti), il regista sviluppa ampiamente il tema che
ritroviamo in tutti i suoi film: l’impossibilità di sfuggire alla propria
condizione, di cambiare il corso del proprio destino. Qui compare per la prima
volta il suo attore-feticcio Joaquin Phoenix, che sembra regalarci il meglio di
sé diretto da Gray. Lo ritroviamo anche in We Own The Night (2007), una sorta di Gattopardo che ha per protagonisti dei
proletari (come lui stesso ha dichiarato),
[1]
in cui Phoenix finisce con
l'arruolarsi nella polizia come suo padre e suo fratello, dai quali prendeva le
distanze all'inizio del film (da notare che questo voltafaccia fu criticato
come un'apologia della polizia!). Stesso attore anche per Two Lovers (2008), per adesso ultimo film
sia di Phoenix (che ha dichiarato di voler lasciare il cinema per dedicarsi
alla musica) sia di Gray. Ma il suo ritorno alla regia è già annunciato, con
l'ennesima storia noir di fratellanza difficile: il remake in lingua inglese di Les Liens du sang (2008) diretto da Jacques Maillot, protagonista Guillaume Canet (come
nell'originale). Anzi, veramente dopo Mark Wahlberg, Charlize Theron, Joaquin
Phoenix, Tim Roth, James Caan e Faye Dunaway Gray dovrebbe dirigere Brad Pitt,
che gli ha commissionato la sceneggiatura di un film epico che sta aspettando i
finanziamenti per partire.
Christopher
Nolan inizia già da ragazzo a realizzare brevi film amatoriali con la super 8
del padre. Studia letteratura inglese al University College di Londra; e le sue
frequentazioni letterarie lo rendono cosciente di come il cinema sia rimasto
legato a storie lineari, tipiche del linguaggio televisivo. La letteratura gli
sembrava allora ben più capace di innovare le strutture narrative, anche se, a
metà anni Novanta, inizia fortunatamente a muovere i primi passi nel mondo del
cinema. Realizza due interessanti cortometraggi, Lanceny (1996) e Doodlebug (1997), debuttando col
lungometraggio Following (1999), inquietante noir che cattura immediatamente l'interesse del
pubblico e della critica e di cui Nolan firma, oltre che la regia, anche la
sceneggiatura, la fotografia e il montaggio. Nel 2000 il regista ottiene un
discreto successo grazie a Memento, film cult dall'originale costruzione a ritroso, che
ottiene diversi riconoscimenti e una nomination all'Oscar per la migliore
sceneggiatura originale, suscitando opere che ne ricalcano la struttura (come Irreversible, 2002, di Gaspar Noé). Due anni
dopo Nolan torna dietro la macchina da presa con il thriller Insomnia, remake dell'omonimo film
norvegese diretto da Erik Skjoldberg, con Al Pacino e Robin Williams nei ruoli
principali. L'abilità a dirigere grandi attori e a dilatare il tempo
accrescendo la suspense non passa inosservata e la Warner Bros gli affida il
nuovo Batman, che dovrebbe risollevare la serie dopo i fiaschi dei fumettistici
film di Joel Schumacher. Batman Begins (2005) e The Dark Knight (2008) ci riescono in pieno. Nel
frattempo Nolan ci sorprende con The prestige (2006). Inception, costato ben 200 milioni di
dollari e girato in sei Paesi diversi, è il suo nuovo film, non ancora uscito
al momento di licenziare questo dossier.
L’UOMO SENZA TEMPO
NOTE SU MEMENTO DI CHRISTOPHER NOLAN
Mario Pezzella
Mentre scorrono i titoli di testa, vediamo una foto
polaroid, con l’immagine di un uomo assassinato, sbiadire lentamente e poi
scorrere a ritroso nella macchina fotografica; nella sequenza successiva la
pistola ritorna in mano all’assassino, la pallottola rientra nella pistola. Il regista
ci rinvia subito al tema decisivo del film: l’inversione e la reversibilità del
tempo, ma anche la perdita di significato del presente, quando sia separato
dalle altre dimensioni temporali. La polaroid è la macchina fotografica (prima
che si diffondessero quelle digitali) che più ha incarnato il desiderio di
riprendere il presente in tempo reale e fissarlo per sempre nella sua
istantaneità; ma nel film l’immagine nitida della foto svanisce, come il
presente si cancella nella mente di Lenny.
Memento
[2]
ha per oggetto la memoria e la
durata dell’esperienza, e il loro rapporto con l’identità. Non si tratta
tuttavia di un film di “immagini-tempo”, nel senso di Deleuze, o per lo meno
esso è costruito secondo un diverso stile di montaggio. Le immagini-tempo
“deleuziane” più significative tendono a dilatare l’inquadratura, a ispessirne
la densità simbolica, a rallentare il ritmo della narrazione, procrastinando il
taglio fino al limite del piano-sequenza; quasi come un oggetto solido e
definito, il tempo viene percepito dallo spettatore, acquistando peso e
gravità. Nulla di tutto questo avviene in Memento, dove il racconto è rapido,
talora frenetico, come in un classico action-movie; di per sé, esso si articola
nelle strutture che per Deleuze sono tipiche del linguaggio narrativo classico.
La durata non diviene percepibile grazie all’intensità delle singole
inquadrature e al loro rapporto, come in Ozu o Antonioni, citati da Deleuze
come esempi di autori che prediligono le immagini-tempo, ma alterando direttamente
la direzione del montaggio. L’inversione e la sconnessione apparente delle
sequenze ci induce a interrogarci sulla qualità temporale dell’esperienza,
dislocando il fluire classico del cinema di immagini-movimento.