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CRISALIDI

 

LA COSA I’M STILL HERE DELLA COPPIA AFFLECK/PHOENIX

 

Maurizio Inchingoli

 

 

Premesse e fessure…

 

Precisiamo subito che questo non è solo un film, e neanche un documentario: è un ibrido vertiginoso tra queste due forme cinematografiche complementari che, a furia di compenetrarsi, generano una nuova formula alla quale ancora non sappiamo dare un nome. E forse tutto ciò è un bene, visto con quale veemenza tanti critici si affannano per coniare nuove definizioni, e per mettere i paletti sul terreno a volte consunto della cultura cinematografica contemporanea. E qui ci viene in soccorso l’inaspettata definizione/suggestione della tanto vituperata settima arte che viene data in una lunga intervista concessa al nostro direttore Jonny Costantino, nel dialogo a due voci intitolato Il proiettile della visione. Dialogo sul cinema e su tutto il resto, da uno scrittore outsider come Antonio Moresco, proprio sulle pagine di “Rifrazioni” del gennaio 2011. Egli paventa, infatti, e non senza dubbi, nuove ed affascinanti direzioni che questo linguaggio dovrebbe intraprendere per rimanere al passo coi tempi. [1] In breve, la teoria scardinatrice dell’autore di Lettere a nessuno è chiara e provocatoria al tempo stesso: ci vuole, anche a partire da una minuscola fessura culturale, una forza rigeneratrice che sia capace di incunearsi in essa con uno sfondamento, per manifestare un superamento di quelle barriere e di quei muri che il cinema stesso ha contribuito ad erigere, per provare a superare finalmente se stesso come oggetto, fino ad approdare a quei lidi incompiuti, e per questo affascinanti, dove i linguaggi cambiano forma, divengono altra cosa da sé, e si auto-rigenerano fino a trasfigurazione avvenuta, un po’ come sta accadendo a quella opera della transizione che tanto fa parlare di sé, che è l’ultimo coraggioso, discusso e discutibile Malick di The Tree Of Life (2011), il suo personale ed ambiguo 2001, odissea nello spazio, oggetto/crisalide per eccellenza. Perché, se ciò avvenisse davvero fino in fondo, allora sì che saremmo in grado osservare da vicino e vivere sulla pelle quel cambiamento che le migliori tecnologie non possono soddisfare del tutto, se lasciate “sole” ad operare.

Ciò premesso un film non film come questo I’m Still Here si colloca sorprendentemente, e quasi in modo inconsapevole, in un alveo profondo dove crescono questi minuscoli boccioli di cinema “nuovo”, perché tanto straniante e coinvolgente è la macchina pensante e agente degli autori che quasi spiazza lo spettatore, fino a farlo diventare attore stesso della pellicola: in fin dei conti è proprio lo spettatore la vera macchina partecipante che genera l’opera, partendo dalla visione, e porta al risultato del film, vivendo con coscienza ed immedesimazione questa nuova pelle.

 

[…]

 



[1] «Non mi aspetto che un simile cambiamento possa venire dal grosso, diciamo così, dall’universo tecnico e produttivo, che in questo momento rappresenta il dominio sull’immaginario e la visione, un universo che non ha interesse a scavarsi la fossa, evidentemente. Può avere interesse, magari, a perpetuarsi in forme intelligenti, avanzate, sorprendenti, prendendo dentro qualcosa di dirompente, ma sempre stando all’interno di un codice che non crei un disordine superiore al grado di accettabilità della vita così com’è strutturata in questo momento. Perché un passaggio di questo genere sarebbe un terremoto nella nostra percezione del mondo, un terremoto nella percezione dell’organizzazione, della vita nel suo complesso, a livello sociale, a livello politico, a livello mentale, a livello sentimentale, a tutti i livelli. Per questo una frattura simile non mi aspetto che venga fuori dall’interno di una struttura che tende invece a perpetuare se stessa, non a creare le condizioni della propria esplosione, del proprio dissolvimento. È dunque più facile che accada passando attraverso l’imbuto e la strettoia di persone singole in grado di sfuggire alla morsa della grande produzione e capaci di realizzare questi azzardi, questi affondi attraverso dei mezzi semplici, poveri, attraverso un linguaggio che renda dicibile una nuova narrazione della vita e del mondo. Un racconto che abbia la possibilità di arrivare a toccare l’immaginario, per metterlo in movimento. Un racconto diverso da quello a cui finora il cinema ci ha abituato», Antonio Moresco in Jonny Costantino, Antonio Moresco, Il proiettile della visione. Dialogo sul cinema e su tutto il resto, “Rifrazioni”, anno 3, numero 5, gennaio 2011, p. 3.

 
 

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